Alda Merini, folie sublime_Rubrica_”Letteratura italiana femminile”
–– Di Marta Carboni
Viale Papiniano 57, 1931: nasce Alda Merini, perla preziosa della poesia italiana.
Determinata fin da bambina a farsi leggere e capire, la Merini non smise mai di scrivere, neppure quando lo fece davvero. Si paragonava spesso alla manzoniana monaca di Monza, costretta al convento e a una vita non sua. Sua madre infatti le negò la possibilità di completare gli studi perché era una donna e avrebbe generato vermi. L’autrice, con la sfrontatezza che la contraddistingueva si presentò al cenacolo degli scrittori con un pugno di poesie fra le mani, in casa del noto Giacinto Spagnoletti. Conobbe così personalità come quelle della sua adorata Maria Curti, Giorgio Manganelli e Padre David Maria Turoldo.
All’età di soli sedici anni quei suoi versi inesperti impressionavano già, non passarono inosservati neppure ai Grandi dell’epoca: Attilio Bertolucci, Salvatore Quasimodo, Eugenio Montale, Giuseppe Ungaretti. Diedero vita alla sua prima raccolta: La presenza di Orfeo.
Ispirazione, talento e originalità erano dettati e scanditi da alti momenti d’amore, da profonde sofferenze, dagli uomini che ha amato e dal suo internamento al manicomio:
“Ho avuto tanti momenti di amore, alle volte così fervidi, così urgenti e passionali che mi hanno portato fuori dai ranghi della vita“
Fra questi, potremmo non citare la tormentata storia con Manganelli? Un amore che ricorda con affetto e che, come lei stessa sostiene, le ha dato tanti figli: i suoi libri.
La sua scrittura l’ha resa celebre, la sua scrittura ha ispirato cantanti, pittori e fotografi. La sua scrittura l’ha protetta dalle ingiustizie e dal dolore.
Dopo il suo esordio letterario, infatti, Alda scrisse ancora, fra gli altri citiamo Nozze romane, Paura di Dio, e Tu sei Pietro. E poi, il niente, il demonio, il manicomio, la presunta follia.
La sua personalità controversa, misteriosa e incompresa le costò cara. Trascorse svariati periodi in ospedali psichiatrici e manicomi. Il primo internamento avvenne a soli sedici anni, il peggiore a trentatré. Amata ma incompresa dal marito, Ettore Carniti, in un periodo delicato in cui era completamente dedita alla casa e assorbita dal ruolo di madre, la scrittrice affrontò un lungo periodo di crisi e debolezza che non venne capito e che perciò dovette scontare nella struttura del Paolo Pini di Milano.
Dopo il periodo più lungo di internamento, ritorna a Milano, debole e vulnerabile, ha tanto da raccontare nel mezzo del cammin della sua vita. Così, scrive il suo viaggio all’Inferno. Fu una brusca caduta, quella, ma anche una grande svolta nella sua vita. Dal dolore e dalla disperazione nasce un capolavoro: La Terra Santa. Inviò immediatamente la raccolta ai suoi amici fidati, Spagnoletti e Maria Corti che ne pubblicano due diverse edizioni. una delle raccolte di poesia più intensa, crudele e autentica dell’autrice.
Ho conosciuto Gerico,
ho avuto anch’io la mia Palestina,
le mura del manicomio
erano le mura di Gerico
e una pozza di acqua infettata
ci ha battezzati tutti.
Lì dentro eravamo ebrei
e i Farisei erano in alto
e c’era anche il Messia
confuso tra la folla:
un pazzo che urlava al Cielo
tutto il suo amore in Dio.
(da “Terra Santa”, 1983).
La sua poesia più intensa, crudele, autentica. Riuscì a cantare la sua orribile esperienza in versi folgoranti che paragonano il Paolo Pini al più feroce dei gironi infernali.
Perché, ancora oggi, leggendo le sue poesie ci arriva tutto il suo dolore? Perché quando racconta in versi, la Merini, ci insegna l’utilità della poesia che è stata la sua difesa, il suo rifugio nei momenti di disperazione, l’arma contro il demonio che lei ha conosciuto, quell’asilo dei folli, sconfitto con le sue parole.
A riveder le stelle, però, ci mise un po’, dopo la depressione e la morte del marito Ettore.
Le figlie raccontano che la serenità arrivò grazie all’incontro dello scrittore Michele Pierri è con lui che Alda torna a sorridere, risorge e inizia la sua nuova vita nella sua Taranto blu.
Il suo rapporto complesso, distante e sofferto con le figlie era fatto di cure e pazienza delle ultime nei confronti della mamma, mai viceversa. Eppure l’autrice le cita spesso nelle sue poesie, parlando di loro con infinita tenerezza:
Ho una placida figlia con gli occhi azzurri di capelli d’oro, che mi sta a cuore mio sempre lontana. Ha le mani fanciulle e il volto bello pieno di ironia, e mi vuol tanto bene come soltanto se ne vuole a Dio. Questa fanciulla bella che nei riti e nei moti dell’Italia a me pensa talvolta e mi sorride, unica stella dentro la tempesta.
La fortuna di Alda Merini esplose grazie ai Mass media, alla stampa, alla televisione. Sembrava essere perfettamente a suo agio davanti alla telecamere, davanti al vasto pubblico. Leggeva, parlava, cantava, con strabiliante naturalezza e spontaneità.
Amata da Lucio Dalla che ci improvvisava insieme, da Giovanni Nuti che scrisse una canzone ispirata alla poesia Sandali, e da tutti noi. Oggi la ricordiamo sempre o la immaginiamo ancora, la Poetessa dei Navigli, sepolta da ninnoli, da numeri di telefono scritti sulle pareti, foto, quadri, specchi, in quella sua casa caotica ma perfetta, in Ripa di Porta Ticinese a Milano.
Fra le opere che non abbiamo citato ma che è doveroso segnalare: Delirio Amoroso, Vuoto d’Amore, La gazza ladra, Destinati a morire, Ballate non pagate…
Sono nata il ventuno a primavera
Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.
Così Proserpina lieve
vede piovere sulle erbe,
sui grossi frumenti gentili
e piange sempre la sera.
Forse è la sua preghiera.
(da “Vuoto d’amore”, 1991)